
Cos’è
Ciò che caratterizza il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) è la presenza di pensieri ricorrenti che si presentano insistentemente alla mente dell’individuo (le cosiddette Ossessioni) e di azioni ripetitive e ritualizzate (le Compulsioni). La persona riconosce che entrambe sono eccessive o irragionevoli, anche se non riesce a interromperle. Esse gli causano un disagio marcato, procurano un dispendio di tempo in genere superiore ad un’ora al giorno, e interferiscono significativamente con le sue normali abitudini, con il funzionamento lavorativo (o scolastico) e sociale.
In particolare, si parla di ossessioni quando:
- i pensieri, gli impulsi o le immagini sono ricorrenti e persistenti, vissuti come intrusivi o inappropriati e che causano ansia o disagio marcati
- i pensieri, gli impulsi, o le immagini non sono semplicemente eccessive preoccupazioni per i problemi della vita reale
- la persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni
- la persona riconosce che i pensieri e gli impulsi ossessivi sono un prodotto della propria mente (e non imposti dall’esterno).
Tipicamente, le osessioni si riferiscono a:
- paura di aver toccato cose contaminanti (denaro, sangue, escrementi…) e di aver subito un contagio
- dubbi e incertezza circa l’esecuzione di alcune azioni (chiusura del gas, tamponamento accidentale mentre si è alla guida…)
- impulsi aggressivi e criminosi (bestemmiare in chiesa, uccidere qualcuno…)
- fantasie sessuali/di stupro (pensieri osceni, impulsi incestuosi…)
Si utilizza, invece, il termine compulsioni quando:
- la persona manifesta comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare…), o azioni mentali (pregare, contare, ripetere parole mentalmente…) che si sente obbligata a mettere in atto in risposta ad un’ossessione, o secondo regole che devono essere applicate rigidamente
- i comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre il disagio, o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti. Questi comportamenti o azioni mentali, comunque, non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi.
Tutti noi, talvolta, possiamo provare pensieri sgradevoli, strani e bizzarri, oppure non riusciamo a liberare la nostra mente da un ritornello musicale, un’immagine, un ricordo. Queste esperienze sono occasionali e facilmente controllabili: in genere le consideriamo sciocche e attribuiamo loro poco peso, cercando di liberare velocemente la nostra mente. Se il pensiero, l’immagine o il ricordo sgradevole ricompare, reagiamo in genere nello stesso modo, cioè tentiamo nuovamente di liberarcene.
Chi invece soffre di un Disturbo Ossessivo Compulsivo attribuisce unsignificato diverso ai propri pensieri intrusivi da quello che la maggior parte delle persone fa e vi reagisce con paura, spavento e ansia, cercando disperatamente di non pensarci. Il tentativo di non pensare a qualcosa, tuttavia, è intimamente contraddittorio: più ci sforziamo di non pensare a qualcosa, infatti, e più aumenta la probabilità che un pensiero torni alla nostra mente. Ciò scatena l’ansia dell’ossessivo che, a sua volta, non fa altro che aumentare l’intrusività del pensiero. In risposta a questi pensieri, è talvolta “costretto” a compiere gesti e rituali sfiancanti, che occupano il suo tempo e ne compromettono seriamente il benessere.
Spesso al DOC si associano demoralizzazione o depressione, che in genere derivano dai disagi provocati dalla sintomatologia. Inoltre, il malessere del paziente può essere accompagnato da profondi sentimenti di colpa e vergogna per i propri pensieri ed azioni, che talvolta lo inducono a nascondere il proprio disturbo anche ai famigliari.
Nel corso degli anni, sono stati elaborati diversi modelli e spiegazioni di questo complesso disturbo.
Il concetto di responsabilità sembra centrale nell’organizzazione del DOC. Gli ossessivi, infatti, interpretano la presenza dei pensieri intrusivi come indice della loro diretta responsabilità nel determinare un danno, a meno che non intervengano attivamente per prevenirlo. Il pensiero, cioè, si fonde e confonde con l’azione: se temo di far del male a mia moglie, probabilmente lo farò davvero. L’individuo mette allora in atto delle “risposte neutralizzanti”, che possono riguardare:
- l’interno: ad esempio, cercare di avere pensieri positivi, contare, ripetere mentalmente alcune parole, ecc.
- l’esterno: per esempio, controllare ripetutamente di aver eseguito una determinata azione, sistemare e allineare alcuni oggetti, ecc.
Molti comportamenti neutralizzanti sono finalizzati a prevenire gli esiti negativi associati al pensiero intrusivo (riducendo il senso di responsabilità): è il caso, ad esempio, di chi controlla ripetutamente di aver chiuso la porta di casa per timore che il figlio piccolo possa allontanarsene. Altre risposte neutralizzanti sono invece utilizzate per alleviare il malessere e l’ansia legate ai pensieri ossessivi: è il caso, ad esempio, delle preghiere ripetute e coatte.
La continua messa in atto di tali risposte è responsabile del mantenimento del disturbo, in quanto esse impediscono di falsificare le proprie credenze disfunzionali: il mancato verificarsi delle catastrofe, infatti, è erroneamente attribuito ai rituali attuati e non all’errata valutazione. Inoltre, dal momento che questi comportamenti riducono in genere il malessere, benché in modo assolutamente temporaneo, la persona ha un’ulteriore conferma della loro utilità e positività.
Tali comportamenti, invece, non fanno altro che alimentare il problema e addirittura esacerbare le idee intrusive, mediante tre meccanismi principali:
- i tentativi di sopprimere i pensieri indesiderati possono addirittura aumentarli, come già spiegato più sopra
- indugiare sul pensiero intrusivo può scatenare l’ansia, che a sua volta facilita l’ossessione
- si possono instaurare associazioni tra certi stimoli e certe idee intrusive, con il risultato di ampliare la gamma di stimoli che possono scatenare i pensieri intrusivi.
Nessuna teoria, né di tipo biologico né psicologico, è in grado attualmente di fornire una spiegazione esauriente di questo disturbo. Vari e di diversa natura sembrerebbero essere i fattori di rischio che predisporrebbero alla sua insorgenza:
- Fattori biologici/genetici: secondo alcuni, il DOC potrebbe essere legato a problemi di regolazione della serotonina. Sarebbe deficitaria, infatti, la funzione modulatrice di questo neurotrasmettitore su un particolare circuito anatomo-funzionale, tale da determinare una stimolazione abnorme ed incontrollata, che scatenerebbe l’insorgenza dei pensieri insistenti e di gesti ripetitivi, impossibili da controllare. Inoltre, il fatto che i soggetti in cui il DOC ha un esordio precoce o addirittura infantile hanno una maggior probabilità di avere un parente stretto con lo stesso disturbo confermerebbe il ruolo dei fattori genetici.
- Fattori legati all’apprendimento: secondo alcune teorie, il comportamento ossessivo-compulsivo sarebbe appreso mediante un processo di condizionamento: un evento emotivamente neutro, cioè, verrebbe associato a qualcosa che provoca paura, finchè l’evento neutro (e i pensieri e le immagini che lo accompagnano) diventa esso stesso fonte di paura e malessere. Quando la persona scopre che un certo comportamento (per esempio, controllare) produce un sollievo al suo malessere, benché di breve durata, è indotta a ripeterlo, e così via.
- Fattori attentivi: sembrerebbe che gli ossessivi siano più inclini delle altre persone a focalizzarsi sulla propria realtà mentale interna e sui propri processi mentali. Questa maggiore auto-consapevolezza favorirebbe l’emergere di idee indesiderate, facilitando i pensieri intrusivi e il rimuginio, finendo per alimentare il disturbo ossessivo.
Due sono i trattamenti che, ad oggi, si dimostrano efficaci nella cura del Disturbo Ossessivo Compulsivo:
- Alcuni antidepressivi sono particolarmente utili nella cura di questo disturbo, in quanto aumentano la disponibilità di serotonina nel cervello: clomipramina, fluvoxamina, fluoxetina, paroxetina, sertralina, venlafaxina e cytalopram. Sono in genere efficaci, maneggevoli e privi di gravi effetti collaterali. Purtroppo, essi curano solo i sintomi (e non il disturbo in sé), che in genere ritornano alla sospensione del trattamento
- Anche la psicoterapia, in particolare quella cognitiva-comportamentale, risulta molto utile nella cura di questo disturbo. In questo caso, l’intervento si basa principalmente su pratiche di:
- esposizione alle situazioni e agli stimoli che scatenano i rituali compulsivi
- prevenzione (cioè progressiva estinzione) della risposta ossessiva e del rituale.
Ripetendo più volte il procedimento di esposizione e prevenzione della relativa risposta, quando la persona si trova di fronte alla situazione che un tempo scatenava il rituale, non si sente più obbligata a compierlo.
Lo stesso principio di trattamento è applicato anche ai pensieri ossessivi, laddove non siano presenti rituali. La cura consiste in questo caso nell’esposizione al pensiero che provoca ansia (uccidere il proprio figlio, investire qualcuno mentre si è alla guida…) e nel tentativo di evitare i rituali cognitivi o mentali rivolti ad attenuare il malessere.
- Adulti
- Adolescenti
- Anziani
- American Psychiatric Association (2000). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (4th edition – Text Revision). American Psychiatric Association: Washington DC.
- Andrews, Creamer, Crino, Hunt, Lampe, Page. Disturbo ossessivo-compulsivo, manuale per chi soffre del disturbo. Centro scientifico editore, 2004
- Wells. Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia. McGraw Hill, 1999