Cos’è
Il termine «mindfulness» è la versione inglese della parola «sati» dell’antica lingua pali delle scritture buddhiste, può essere tradotta con «piena consapevolezza», «attenzione consapevole», «mente consapevole». Si riferisce all’esperienza di uno stato mentale: “la consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione in un particolare modo: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante” (Kabat-Zinn, 1994).
Questo stato mentale si può coltivare attraverso una pratica che trae origine da pratiche contemplative come la meditazione vipassana, che è la più antica delle pratiche buddhiste e si colloca nella tradizione buddhista theravada, nata nell’Asia meridionale e sud-orientale, in Thailandia, Birmania, Laos, Cambogia e Sri Lanka, e in uso sia nell’ambiente monastico sia in quello laico da più di 2500 anni.
La meditazione di consapevolezza si riferisce quindi alla possibilità di acquisire una profonda conoscenza attraverso un atto di percezione non mediato dai pensieri della mente, capace di generare nel tempo una comprensione intuitiva, profonda e non concettuale, di quello che sta accadendo nel momento in cui accade. E’ una modalità di consapevolezza fondata sull’affinamento dell’attenzione sull’esperienza immediata con un atteggiamento di apertura e accettazione e favorisce un maggiore riconoscimento degli eventi mentali nel momento presente.
Il potere terapeutico e liberatorio di questo stato di presenza mentale è sempre più al centro dell’interesse scientifico e della ricerca in medicina, in psicoterapia e recentemente in ambito psico-sociale ed educativo.
Jon Kabat Zinn, medico-biologo molecolare, è il pioniere riconosciuto delle applicazioni cliniche delle pratiche meditative di mindfulness. Dal 1979 ha sviluppato il programma Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), il primo protocollo di intervento clinico basato sulla mindfulness. Dai suoi inizi è stato completato da oltre 18.000 persone e viene proposto in più di 400 ospedali, negli Stati Uniti ed in Europa, nel contesto della medicina integrativa. Nel 1995 ha fondato a Boston il Center for Mindfulness in Medicine, Health Care, and Society (CFM), un istituzione che lavora allo sviluppo e alla diffusione dell’MBSR e, in generale, all’integrazione della mindfulness nella pratica generale della medicina e della sanità, così come in altre aree della società.
Mindfulness è quindi un modo di conoscere “diretto”, attraverso l’apertura a qualsiasi cosa accada, momento per momento, nella nostra vita. Un modo di farsi presenti e di prendersi carico della propria vita, di fare per sè stessi quello che nessun altro può fare per noi: portare sistematicamente consapevolezza al proprio stress, dolore, malattia e alle sfide, alle richieste pressanti della vita quotidiana. Un approccio alla consapevolezza che può aiutarci a cambiare la relazione col disagio che, in natura diversa, tutti sperimentiamo.
Chiunque di noi abbia vissuto, nella propria esistenza, uno stato di sofferenza e malessere psicologici può facilmente comprendere, infatti, quanto, in quei momenti, la nostra mente sia condizionata e distorta da un continuo, inconsapevole ed automatico susseguirsi di pensieri, stati d’animo, ricordi, aspettative e desideri che non riguardano il momento presente che stiamo vivendo. Si ha, dunque, la tendenza a sfuggire dal presente per “inseguire le proprie aspirazioni ed i propri desideri di trovarsi altrove, dove speriamo che la situazione sia migliore, più felice, come desidereremmo che fosse o com’era un tempo” (Kabat-Zinn). Così facendo, dimentichiamo di essere “qui” e di esserci “ora”, ci distanziamo dal momento presente, che è l’unico momento di fatto esistente, allontanandoci, in tal modo, dalla nostra esperienza interna nel momento in cui proviamo alcune sensazioni e dalla realtà che ci circonda quando viviamo determinate esperienze.
La mindfunless non rappresenta una tecnica da apprendere per far fronte, durante un momento di difficoltà, alla sofferenza. Né tanto meno essa costituisce una modalità mediante la quale raggiungere uno stato di rilassamento (aspetto più tipico, ad esempio, del training autogeno) o una forma di trance che implica l’abbandono della consapevolezza. Al contrario, essa si basa sostanzialmente sull’aumentare lo stato di consapevolezza, incrementando la capacità di stare in contatto con se stessi e con il momento presente.
La meditazione è «un’attività vivente, del tutto basata sull’esperienza.
Non può essere insegnata come una materia puramente scolastica.
Il cuore vivo della pratica meditativa deve scaturire dall’esperienza personale».
Henepola Gunaratana, monaco buddista (1995)
La pratica mindfulness è un modo di abitare la propria persona come un osservatore che guarda amorevolmente il proprio paesaggio psicologico. Questa pratica insegna ad essere consapevoli di se stessi e del mondo che ci circonda; rende in grado di percepire i propri limiti e vedendoli come una possibilità e non una limitazione. Coltivare questa osservazione non giudicante permette di essere più accoglienti e pazienti di fronte alle avversità ed al dolore. Questo approccio ad oggi risulta una delle più importanti innovazioni nell’ambito scientifico; nata come connubio intelligente fra tradizione buddhista e psicologia.
Hai mai fatto l’esperienza di fermarti del tutto,
di essere così totalmente nel tuo corpo,
di essere così totalmente nella tua vita
che quel che già sapevi e quello che non sai,
e quel ch’è stato e quel che ancora dev’essere,
e le cose come stanno proprio ora
non ti danno neanche un filo d’ansia o disaccordo?
Sarebbe un momento di presenza totale,
al di là della lotta, al di là della mera accettazione,
al di là della voglia di scappare o sistemar le cose o tuffarcisi dentro a testa bassa:
un momento di puro essere, fuori dal tempo,
un momento di pura vista, pura percezione,
un momento nel quale la vita si limita a essere,
e quell'”essere” ti prende, ti afferra con tutti i sensi,
tutti i ricordi, fin dentro i geni,
in ciò che più ami,
e ti dice: benvenuto a casa.
(Jon Kabat-Zinn)
Questa possibilità di semplicemente stare con quello che accade fuori e dentro di noi, ha un grande potere trasformativo e terapeuutico. Da questo punto di vista l’aspetto più interessante della mindfulness è che può agire direttamente sulla relazione tra la mente ed i suoi contenuti, senza cioè entrare direttamente nel merito di questi ultimi. Può essere vista come una forma di osservazione naturalistica, o osservazione partecipante, nella quale gli oggetti dell’osservazione sono i fenomeni mentali percettibili, che normalmente si presentano durante lo stato di veglia consapevole.
Shapiro, Carlson, Astin e Freedman (2006) sostengono che i meccanismi della Mindfulness consistono in intenzione, attenzione e in una attitudine specifica, che assieme contribuiscono, ognuna a suo modo, a un processo che permette di vedere le cose in modo nuovo, processo che gli autori chiamano ri-percepire. Questi e altri autori riconoscono che la Mindfulness può anche avere esiti comuni, come la pazienza, la non reattività, la compassione per se stessi e la saggezza. Nella Terapia dell’Accettazione e dell impegno (ACT–4C-ceptance and Commitment Therapy).
Chiunque può avvicinarsi alla pratica della consapevolezza e trarne beneficio: “la capacità di essere consapevoli è presente in ciascuno di noi, tutto ciò che occorre è coltivare l’attenzione al momento presente” (Kabat-Zinn). Tuttavia, possiamo dire che la pratica della consapevolezza è particolarmente consigliata per le seguenti problematiche:
Chiunque può avvicinarsi alla pratica della consapevolezza e trarne beneficio: “la capacità di essere consapevoli è presente in ciascuno di noi, tutto ciò che occorre è coltivare l’attenzione al momento presente” (Kabat-Zinn). Tuttavia, possiamo dire che la pratica della consapevolezza è particolarmente consigliata per le seguenti problematiche:
Disturbi d’ansia
Le persone che presentano problematiche legate all’ansia tendono a percepire le proprie sensazioni interne, i propri pensieri e le proprie emozioni, come dominanti e invadenti in una sorta di identificazione completa con essi: “io sono la mia ansia, la mia paura..”, come anche nei confronti di specifiche situazioni che si trovano a vivere che possono essere percepite come ostacoli insuperabili e travolgenti. Queste valutazioni distorte, e spesso catastrofiche, degli eventi e dei propri contenuti interni (emozioni e sensazioni corporee) scatenano sintomi d’ansia che vengono interpretati nuovamente in modo catastrofico innescando, in tal modo, dei circoli viziosi che mantengono e alimentano continuamente gli stati d’ansia. La pratica della consapevolezza facilita l’acquisizione di una nuova modalità di relazionarsi alla propria esperienza interna, attraverso una relazione diversa con i pensieri catastrofici, sensazioni fisiche ed emozioni vissute. In tal modo, le persone riescono anche a pianificare e mettere in atto comportamenti appropriati di gestione delle situazioni.
(Studi che dimostrano l’efficacia per i disturbi d’ansia:Roemer & Orsillo, 2002; Miller e coli., 1995).
Prevenzione delle ricadute nella depressione
All’interno della terapia della depressione, la pratica della consapevolezza svolge un ruolo importante nel ridurre la possibilità di ricadere in uno stato depressivo.
Generalmente, gran parte delle persone che hanno sofferto o soffrono di depressione possono confermare come nel periodo depressivo la mente sia affollata da pensieri, emozioni, immagini e sensazioni fisiche che sono tutti al negativo. Inoltre, queste persone tentando di capire i propri problemi, come anche le proprie inadeguatezze, i propri errori ed il proprio scarso valore, passano buona parte del tempo durante la giornata a pensare continuamente agli aspetti negativi, ritenendo che, in tal modo, possano capirsi di più e scoprire come risolvere i propri problemi. Questa modalità è chiamata “ruminazione” o “rimuginio” e consiste in una catena incontrollabile di pensieri che è collegata ad emozioni negative. Pensando che sia un meccanismo utile per uscire dalla sofferenza, le persone molto spesso non si accorgono che questa modalità è in realtà controproducente poiché non aiuta a capirsi meglio o a risolvere i problemi ma, al contrario, fa sì che, continuando a ruminare su ciò che c’è di negativo in sé e sui problemi della vita di ogni giorno, la depressione aumenti, non diminuisca. Questo è ciò che determina la ricaduta in stati depressivi: anche solo sperimentando uno stato emotivo di tristezza, si tende a ricominciare a pensare in negativo e a passare molto tempo a ruminare sui pensieri negativi.
Nei gruppi di pratica della consapevolezza il paziente ha la possibilità di cambiare la modalità con la quale si relaziona ai propri pensieri, nel seguente modo: identificando i pensieri negativi quando si presentano; iniziando a vedere i pensieri da una nuova prospettiva e, cioè, semplicemente come pensieri, e non come una realtà; imparando ad identificare i segnali di ricaduta nella depressione e a gestirli.
(Segal, Williams e Teasdale, 2002)
Disturbi di personalità
I pazienti con disturbi di personalità, di fronte ad eventi stressanti, ansiogeni o frustranti, tendono a reagire agli stati d’animo spiacevoli con cui vivono tali eventi, alle emozioni particolarmente intense che possono provare e alle sensazioni fisiche ritenute insopportabili, mettendo in atto comportamenti impulsivi (come, ad esempio, l’abuso di alcool, abbuffate, ecc.) o di forte evitamento delle situazioni che determinano stress. Tanto i comportamenti impulsivi quanto quelli di evitamento determinano un annullamento o, quanto meno, una riduzione del malessere interno e per questo motivo continuano ad essere utilizzati. La pratica della consapevolezza, in questo caso, aiuta i pazienti ad apprendere come vivere un’esperienza emotiva sgradevole nel presente, senza doverla immediatamente interrompere mediante il ricorso a comportamenti impulsivi e all’evitamento.
(Linehan, 1993)
Disturbo borderline di personalità
Come per gli altri disturbi di personalità, anche per il disturbo borderline di personalità la mindfulness svolge un ruolo importante nell’aumentare la consapevolezza del momento presente e creare la possibiltà di non reagire immediatamente con comportamenti impulsivi. Inoltre, per questo disturbo la pratica della consapevolezza risulta particolarmente indicata per diversi motivi. In primo luogo, aiuta le persone ad assumere un atteggiamento non giudicante verso se stessi e verso gli altri, consentendo loro di far fronte alla propria naturale tendenza a dare giudizi estremi su di sé e sugli altri, sia in termini eccessivamente positivi che negativi. In secondo luogo, aiuta a focalizzare la propria attenzione su un compito per volta e ad impegnarsi in esso con presenza, lucidità e convinzione, sopperendo alla difficoltà di queste persone a mettere da parte i propri problemi per concentrarsi sull’attività che stanno svolgendo, spesso distratte da pensieri ed immagini del passato, preoccupazioni per il futuro, ruminazioni sui problemi, o stati d’animo negativi. Infine, facilita nella persona l’abbandono della ricerca di ciò che “giusto” o “sbagliato” per avere, invece, più fiducia nelle proprie percezioni, nei propri giudizi e nelle proprie decisioni.
Stress e dolore cronico
Soffrire di una malattia cronica o di un’invalidità, come anche essere sottoposti a situazioni più o meno pesanti, può introdurre nella propria vita un’importante dose di stress, a cui non sempre è possibile sottrarsi. Spesso si affronta il dolore fisico, lo stress, l’avvilimento che ne consegue e la sofferenza in genere, mediante forme di evitamento e tentativi di annullare i problemi, che altro non fanno che ingigantirli ed aumentare lo stress. La pratica della consapevolezza offre, invece, una modalità differente di rapportarsi al dolore ed allo stress, che consiste nel vivere ogni momento della vita come importante, come qualcosa che conta e da utilizzare per andare avanti, anche i momenti di dolore, di tristezza, di disperazione o di paura. Anziché lottare contro una realtà che è non modificabile, la pratica della consapevolezza propone di apprendere a vivere pienamente ogni momento della propria esistenza, bello o brutto che sia, trovando in sé quella fonte di energia interna a cui attingere per far fronte allo stress.
Sono stati condotti studi in cui i programmi mindfulness si sono dimostrati efficaci per: disturbo da stress post traumatico: Follette e coli., 2004; Foa e coli., 2000; dolore cronico: Kabat-Zinn, 1982; Kabat-Zinn e coli., 1987; fibromialgia: Kaplan e coli., 1993; Singh e coli., 1998; epi¬lessia: Deepak e coli., 1994; psoriasi: Kabat-Zinn, 2003; traumi cerebrali: Bedard e coli., 2003; insonnia: Lundh, 2005.
Disturbi dell’alimentazione
Nel corso degli ultimi anni sono stati effettuati vari studi circa i benefici della pratica di meditazione di consapevolezza all’interno di alcuni trattamenti di cura per i disturbi dell’alimentazione. Vari studi (Telch, 2000, 2001; Baer, Heffner, 2002), dimostrano l’efficacia di programmi di mindfulness per la risoluzione delle abbuffate, le persone Impararono, infatti, a riconoscere e osservare le proprie emozioni e dunque a regolare le emozioni negative senza ricorrere al cibo.